La rappresentazione digitale della realtà.

La rivoluzione digitale affonda le sue radici nell'invenzione del microprocessore negli anni '70 dello scorso secolo.

L'idea dietro a questo strumento è molto semplice e per niente nuova: associare un valore simbolico a un segnale. Era già stato fatto manualmente per secoli con i segnali di fumo o le lanterne. Più recentemente con gli impulsi elettrici sulle linee del telegrafo. Il microprocessore consente di automatizzare il processo di accensione-spegnimento e, soprattutto, di eseguirlo con una frequenza impensabile per un essere umano. In meno di 50 anni si è passati dai circa 750.000 stati al secondo rappresentabili dai primi microprocessori ai diversi miliardi di quelli odierni. E i microprocessori quantistici appena resi disponibili sul mercato dimostrano la possibilità di incrementare questi numeri di diversi ordini di grandezza.

Se a ogni stato di presenza o assenza di segnale si associa rispettivamente il valore "1" o il valore "0", una loro sequenza può essere interpretata come un numero naturale in rappresentazione binaria. La teoria matematica assicura che tutti i sistemi di rappresentazione dei numeri naturali in basi diverse sono equivalenti tra di loro e quindi è possibile associare le sequenze di stati di un microprocessore ai numeri decimali o esadecimali, che gli esseri umani utilizzano per ordinare liste sin dagli albori della storia. Le lettere dell'alfabeto o una tavolozza di colori sono solo due degli infiniti esempi. Sfruttando questo principio, diventa possibile rappresentare testi o immagini mediante codici standard ed adeguate interfacce tra essere umano e microprocessore.

Tuttavia, la potenza di questo metodo non si ferma qui. Ancora una volta la teoria matematica sin dal XVII secolo ci dice che qualsiasi entità geometrica continua può essere approssimata con precisione a piacere attraverso liste di valori. Questo sistema di approssimazione per tassellazione può essere applicato praticamente ovunque ed è il principio che ci consente di descrivere il mondo attraverso i computer mediante la sua cosiddetta "rappresentazione digitale", ovvero numerica, dall'inglese "digit", che a sua volta viene dal latino "digitus", ovvero "dito". Si pensi alla sua applicazione nel campo delle immagini. Uno schermo altro non è che una matrice finita di punti. Ogni punto può essere individuato attraverso un numero e quindi lo schermo può essere ricondotto ad una lista. A sua volta ad ogni punto può essere associata una lista di colori. Nei monitor o nei televisori moderni è comune avere matrici di 4 milioni di punti, ciascuno dei quali può riprodurre milioni di colori. La combinazione di queste due liste permette di produrre approssimazioni di immagini per tassellazione, che sono indistinguibili dall'originale per l'occhio umano. Tale fedeltà si ottiene al prezzo di essere capaci di generare una sequenza di circa 1 miliardo di "1" o "0" al secondo. Un compito tranquillamente alla portata dei microprocessori commerciali odierni.

Un corollario fondamentale del precedente ragionamento è che l'elemento di rottura con il passato portato dalle tecnologie di rappresentazione digitale è la capacità di manipolare l'energia per generare valore semantico in maniera ubiqua. Probabilmente, Michelangelo, se vivesse ai giorni nostri, direbbe di aver visto un angelo non nella pietra da scolpire, ma nell'energia e di aver scritto codice fino a liberarlo. Un altro grande della storia umana, il già citato Albert Einstein, con la sua famosa equazione E=mc^2 ha spiegato che massa ed energia sono due diversi stati della materia. La conseguenza è che un David immaginato dal genio di Michelangelo e modellato in marmo sotto forma di statua o in energia sotto forma di ologramma sarebbero entrambi costrutti materiali.

La precedente affermazione porta con sè un problema linguistico rivelatore. È immediato descrivere l'ologramma come un costrutto materiale digitale, ma che aggettivo usare per la sua controparte in marmo?

Prima della diffusione delle tecniche di rappresentazione digitale non c'era una cartina di tornasole che evidenziasse che "materia" e "massa" non sono lo stesso concetto. Nella prassi comune si confondevano e il linguaggio non si è sviluppato per differenziare le due situazioni adeguatamente. L'aggettivo spesso utilizzato per individuare un oggetto costituito da materia presente sotto forma di massa è "tangibile", ma, di nuovo, questo è un elemento che crea confusione nei discorsi, quando entra in gioco il digitale. L'intangibilità del digitale è ciò che spinge il senso comune a classificarlo istintivamente come immateriale, ma è una categorizzazione che semplicemente perde di senso in questa realtà più ampia.

In attesa della maturazione della nostra cultura, un vocabolo che può essere utilizzato provvisoriamente è "oggettuale", inventato agli inizi del Novecento nel contesto della ricerca formale cubista e poi ripreso da futuristi e dadaisti. Il termine per Picasso e i cubisti pone l'enfasi sul valore semantico che un costrutto materiale assume in un dato contesto in virtù del suo avere forma come oggetto. Pur non essendo una soluzione concettualmente del tutto soddisfacente, ha il pregio di offrire una differenziazione chiara rispetto a un costrutto materiale digitale che ha forma solo in quanto processo di rappresentazione.

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