La prima crisi del Paradigma Analitico
Lo schema concettuale analitico ha servito le culture di matrice occidentale magnificamente per più di tre secoli, da quando Sir Isaac Newton lo ideò. Ad esso dobbiamo grandissime scoperte scientifiche e tutti i derivati della cultura illuministica, a partire dall'era industriale fino all'architettura didattica del nostro sistema scolastico contemporaneo.
L'idea di base è che qualunque fenomeno fisico possa essere descritto completamente, scindendolo nelle sue componenti ed individuando le relazioni tra di esse. La presenza di errori è attribuita ai limiti di precisione degli strumenti disponibili e si assume che possa essere rimossa al loro raffinarsi. Si dà anche per scontato che sia sempre possibile in linea teorica giungere alle condizioni ideali di indipendenza dei risultati dalle modalità di osservazione, come postulato dal metodo galileiano.
Questo modo di pensare oggi sembra naturale, ma nel 1600 non lo era. Si provi a pensare all'inebriante senso di meraviglia generato da una idea che d'improvviso consentiva di calcolare con precisione effetti cosmici in un mondo dove fino a pochi anni prima già capire a priori dove potesse cadere un colpo di bombarda a poche decine di metri era un compito di difficilissima risoluzione. Non c'è da stupirsi del tentativo di applicare questo schema concettuale in tutti gli altri campi: dalla filosofia alla produzione di manufatti, dall'organizzazione dello stato all'insegnamento scolastico. I continui progressi dell'Età della Ragione giustificarono la convinzione che effettivamente l'umanità fosse ormai in possesso della chiave per decifrare tutto l'universo in ogni suo aspetto. Nelle lettere scambiate tra molti grandi matematici e fisici teorici della fine dell'Ottocento appare ricorrentemente l'idea di essere prossimi alla disoccupazione: mancava poco per svelare gli ultimi misteri.
Poi arrivò Einstein.
La sua corretta interpretazione dell'effetto fotoelettrico nel 1905 apri il fecondo trentennio della nascita della meccanica quantistica. Nel giro di pochi anni diventò chiaro che lo schema concettuale analitico era ben lungi dal poter essere considerato universale. I suoi assunti fondanti come la possibilità teorica di potere perseguire l'indipendenza totale tra osservatore e osservabile erano veri soltanto in casi particolarissimi. Il principio di causa-effetto fu negato. Un profondissimo shock culturale che portò Einstein stesso a rifiutare la teoria che aveva contribuito a far nascere e a cercare inutilmente di dimostrarne la falsità. Oggi è comunemente accettato a livello scientifico che lo schema concettuale analitico non è valido in generale, pur tornando estremamente utile in molti contesti di uso quotidiano. Tuttavia, dato che il latte non si compra in negozi subatomici, la falsità concettuale dello schema analitico a un secolo dalla sua dimostrazione non ha fatto ancora molta breccia nella cultura comune e la sua prima crisi è passata inosservata ai più.
Non si può dire lo stesso per la crisi del suo quadro operativo, determinata dalla diffusione delle tecnologie per la rappresentazione digitale della realtà.
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